Nell’anno del consolato di Gaio Celio e Lucio Pomponio, il 26 maggio, Germanico Cesare celebrò il Trionfo su Cherusci, Catti e Angrivari e su altri popoli fino all’Elba.
Carri portavano le spoglie, i prigionieri, e le tavole raffiguranti monti, fiumi, battaglie; e così quella guerra, che si era impedito di concludere, veniva data per conclusa.
L’ammirazione degli spettatori era accresciuta dalla straordinaria figura del trionfatore e dal cocchio trionfale, carico dei suoi cinque figli.
Tacito, Annales, II, 41
Così Tacito descrisse il giorno del 26 maggio del 17 d.C. quando, dopo che l’imperatore Tiberio gli aveva concesso il trionfo per la vendetta sulla disfatta di Teutoburgo, Germanico Cesare tornò a Roma tra gli onori con la sua famiglia, le spoglie dei vinti e la moglie e il figlio di Arminio.
La popolarità di Germanico era giunta all’apice, come – sempre secondo Tacito – le invidie di suo zio Tiberio che, col pretesto del trionfo e il ritorno a Roma, lo destinò a quella nuova missio a oriente dell’impero che ne decretò poi la morte.